PMI: Growth Hacking
PMI: Growth Hacking che arriva a supporto nella Omnichannel Experience!
Tuo figlio, il più piccolo, soprattutto se non è arrivato a 6 anni e se sta passando un’infanzia felice… è un Growth Hacker. Lo riconosci perché è capace di trasformare un vecchio scatolone in una navicella spaziale o in un castello, senza usare forbici e coltello, ma soltanto con creatività e tanto pensiero laterale. Quella capacità, insomma, di vedere aldilà dell’ordinarietà e di andare su nuove prospettive.
Nel 2006 un ex dipendente di Paypal e Dropbox (Sean Hellis), in Silicon Valley, avevano bisogno di scalare con la propria startup il mercato spendendo il minor budget possibile (anche perchè, pur essendo in Silicon Valley, di soldi per loro ancora nascenti ce n’erano ben pochi).
Così riuscirono a trasformare il loro scatolone vecchio e rettangolare in qualcosa di più straordinario.
Nel 2010 si capì che ogni startup doveva avare un proprio Growth Hacker… o comunque si cominciò a comprendere che il potere del digitale poteva permettere, con un po’ di creatività, di scalare senza farsi limitare dal budget.
Strategia e mind set sono i terreni su cui si gioca la partita, ed oggi anche le PMI, le piccole e medie imprese, possono fare Growth Hacking.
Growth Hacking: cosa significa
La capacità di un prodotto o servizio di poter essere venduto e replicato in chiave locale, nazionale, europea e internazionale. Per esempio, un negozio di fiori non è scalabile, a meno che non crea un franchising… INTERFLORA con la creazione di una rete globale per la consegna a domicilio potrebbe essere il primo esperimento di Growth Hacking inconsapevole: strategia e mindset.
Un esperto Growth Hacker ha una formazione a T che consiste nell’avere una strategia verticale e conoscenze laterali e di contorno che consentono di validare l’idea su due prospettive e permette all’utente di finale di poter scegliere quali preferisce.
Due livelli o due bisogni? In un percorso di validazione bisogna anche essere empatici per capire i bisogni del cliente, ad esempio, con l’empathy map: un tool che permette di tracciare i segmenti di clientela a cui ci rivolgiamo e di entrare in empatia con loro.
L’empathy map è divisa in quattro quadranti, al centro dei quali vi è l’utente. Le sezioni sono:
SAY,
THINK,
DO (cosa fa senza il prodotto)
FEEL (come pensa senza di esso)
Oltre la fase di validazione, bisogna andare in sincrono con il piano di business dell’impresa, e seguire un valido Business Model che deve contenere una strategica e realistica Value Proposition, il vantaggio unico, esclusivo che l’azienda si propone di mettere sul mercato, e la definizione del customer segment, lavorando su pains e gains, vantaggi e svantaggi a lavorare con un prodotto simile al nostro.
La strategia di Growth Hacking comunque dovrà essere cucita sul nostro utente tipo ma soprattutto misurabile. Perché ciò che è misurabile e anche controllabile. Possiamo applicare questo approccio strategico, così creativo, per qualunque delle fasi aziendali della nostra impresa o per qualunque dipartimento. Certamente il momento della vita aziendale migliore e più adatto rimane la fase di startup, quello step iniziale in cui, tra idee confuse, poco budget e risorse, ho la necessità di fare il più alto numero di acquisizioni in pochissimo tempo.