Zero party data: cosa sono e perché usarli

 

Zero party data è una locuzione ideata dalla società statunitense Forrester Research, per definire l’ultima frontiera sul trattamento delle informazioni personali; il loro utilizzo mette d’accordo la divulgazione dei messaggi pubblicitari con le esigenze relative alla privacy, per annunci mirati e mai invasivi.

 

Le campagne promozionali, quindi, vengono ideate in linea con gli interessi dei clienti, in modo discreto ed esclusivamente in base alle informazioni fornite in prima persona; il tutto in piena coerenza con gli aggiornamenti della normativa sul GDPR, sempre più attenta alla tutela dei dati dopo anni di abusi.

 

In seguito alle disposizioni attualmente in vigore, alcune multinazionali hanno bloccato il tracciamento in assenza di un esplicito consenso da parte del soggetto; una decisione presa anche da colossi come Google Chrome, che promette di non servirsi più di cookies provenienti da terze parti. Ma adesso entriamo nel dettaglio sull’argomento.

 

Zero party data, cosa sono e a che servono?

Si tratta di informazioni fornite in maniera diretta e consapevole dal consumatore, ad esempio in modalità opt-in (vale a dire con l’iscrizione a una newsletter) o in seguito alla partecipazione a un sondaggio; in sostanza, indicano le preferenze espresse da un soggetto verso un bene, un servizio o, più in generale, una particolare tematica.

 

La raccolta dei dati secondo questo criterio permette alle aziende di mandare messaggi pubblicitari e promozionali ad hoc, facendo scegliere i canali di comunicazione al destinatario. Al contrario di quanto avveniva in passato, quindi, decadono:

  • il tracciamento con cookies di profilazione da siti web di terze parti

 

  • l’invio di avvisi in base a ipotesi statistiche e non a un reale interesse per l’oggetto in questione.

 

In qualche modo, il rapporto instaurato tra l’azienda e il cliente già fidelizzato o il potenziale acquirente cambia, perché diventa più diretto.

 

I motivi per ricorrere ai zero party data

Essendo informazioni non deducibili mediante prefigurazione di scenari, ma fornite con esplicito e deliberato consenso da parte del consumer, questo genere di dati sono utili perché permettono di inviare comunicazioni su misura e pertinenti agli interessi del cliente.

 

Una delle ragioni per cui le aziende hanno perso potenziali acquirenti, infatti, è stato l’abuso di tecniche aggressive per imporsi al pubblico, peraltro nei momenti e nei contesti meno opportuni; basti pensare a tutti quegli avvisi che arrivano in maniera inaspettata e invasiva, magari nel bel mezzo della lettura di un articolo online.

 

Non è difficile trovare degli esempi dalla vita quotidiana: l’improvvisa comparsa di un banner nello schermo del PC, l’intasamento della casella di posta elettronica con e-mail non richieste o telefonate al limite dello stalking da parte di imprese sconosciute sono solo alcune delle situazioni di più comune riscontro nell’interruption marketing.

 

I vantaggi dei zero-party data

L’invio di comunicazioni in base ai dati rilasciati spontaneamente dai visitatori dei websites agevolano la costruzione e l’ampliamento del portfolio clienti, oltre a favorirne la loro fidelizzazione; tra i punti di forza ricordiamo:

  • utilizzo delle informazioni strettamente necessarie

 

  • divieto di trasmissione a soggetti terzi

 

  • non condivisione con i provider di pagamento

 

  • rafforzamento della fiducia nel brand

 

  • estrema riservatezza.

Conclusione

In definitiva, l’impiego dei zero-data party promuove le strategie di permission marketing, ossia i metodi applicabili previo consenso del consumatore; un bel vantaggio per gli acquirenti, soprattutto quelli più attenti alla tutela della propria privacy.

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